I Deb (Drug Eluting Balloon), ovvero i palloni a rilascio di farmaco, rappresentano una vera e propria rivoluzione nel campo della cardiologia interventistica.
È la terza in ordine di tempo dopo l’utilizzo degli stent medicati nel 2003 ed il trattamento percutaneo delle patologie valvolari nel 2007. Si tratta di palloncini per il trattamento della cardiopatia ischemica che, oltre a dilatare i vasi sanguigni, rilasciano contemporaneamente una sostanza medicata, solitamente un farmaco antiproliferativo, che aiuta a prevenire la formazione di occlusioni o restenosi senza lasciare alcun residuo metallico nel paziente.
Presso l’Unità operativa di Emodinamica del Policlinico di Tor Vergata, terza in Italia per infarti acuti e rapidità di intervento, su 1200 trattamenti annuali un quarto è già fatto solo con palloncino medicato.
Nella Regione Lazio il centro è capofila per numero di interventi eseguiti con solo Deb senza dover impiantare nessuno stent, con il vantaggio di ridurre al minimo le potenziali complicanze legate alla presenza di un corpo estraneo all’interno dei vasi ed a ridurre al tempo stesso la necessità di una duplice terapia antiaggregante a lungo termine.
Il tema è stato affrontato recentemente a Roma con i massimi esperti del settore cardiovascolare provenienti da tutto il mondo, insieme ai rappresentanti della ricerca e sviluppo del settore medicale e chimico-farmaceutico e delle principali società scientifiche Società europea di Cardiologia (Esc), Società italiana di Cardiologia (Sic), Società italiana di Cardiologia interventistica (Gise), Società italiana di Chirurgia vascolare ed endovascolare (Sicve).
Uno dei temi principali è l’applicazione dei Deb nel campo dell’angioplastica coronarica, un intervento comune per ripristinare il flusso sanguigno nelle arterie coronarie ostruite o stenotiche. L’uso dei Deb in questa procedura ha mostrato risultati promettenti in termini di riduzione delle restenosi, ovvero la ricomparsa di una stenosi nel vaso trattato a distanza di tempo, oltre il vantaggio di ridurre al minimo le potenziali complicanze legate alla presenza di un corpo estraneo all’interno dei vasi ed a ridurre al tempo stesso la necessità di una duplice terapia antiaggregante a lungo termine.
La prospettiva è utilizzare questa tecnica rivoluzionaria anche per altri interventi come l’angioplastica periferica e l’angioplastica carotidea. Questo apre interessanti prospettive per il trattamento di malattie vascolari che coinvolgono altre parti del corpo ed in vasi a basso flusso dove l’impianto di stent non è opportuno – come nel caso dei pazienti affetti da disfunzione erettile.
L’evoluzione di questa tecnologia rappresenterà un passo avanti significativo nel trattamento delle malattie cardiovascolari, offrendo alternative ugualmente efficaci e al tempo stesso più sicure per i pazienti di tutto il mondo.