Privati per tutta la vita della possibilità di curarsi con la penicillina e i suoi derivati, antibiotico di prima scelta in molte situazioni cliniche, senza essere effettivamente allergici. È quanto avviene in 9 casi su 10 di allergie ai farmaci perché i pazienti si vedono attribuita l’“etichetta” di allergici dal medico curante o nelle cartelle cliniche, solo per aver dichiarato un’esperienza da piccoli di reazione avversa dopo aver assunto l’antibiotico, ma senza che questa sia mai stata accertata clinicamente. La conferma arriva da una serie di studi internazionali, tra cui il più recente pubblicato su Antimicrobial Stewardship & Healthcare Epidemiology dall’Università di Cambridge, che hanno controllato durante il ricovero ospedaliero centinaia di pazienti convinti di essere allergici alla penicillina, ma che una volta sottoposti a test di verifica sono risultati negativi in oltre il 90% dei casi. A renderlo noto, gli esperti della Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (SIAAIC) che, in occasione del Congresso Nazionale in corso a Roma, segnalano la necessità di una valutazione da parte dello specialista e i rischi associati all’uso improprio, in pazienti senza alcun reale bisogno, di antibiotici alternativi a quelli più comuni, spesso meno efficaci, più tossici e costosi, con un aumento del rischio di antibiotico resistenza.
«Le allergie ai farmaci, soprattutto agli antibiotici, riguardano nel nostro Paese il 10% della popolazione e si manifestano in diversi modi: dalle eruzioni cutanee, al gonfiore alla gola, fino alle difficoltà respiratorie. La reazione allergica può verificarsi entro un’ora dall’assunzione del farmaco o entro pochi giorni. La famiglia delle penicilline e dei chinoloni, sono tra le classi di antibiotici potenzialmente più allergeniche – dichiara Vincenzo Patella, Presidente eletto della Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (Siaaic) e Direttore Uoc Medicina Interna dell’Azienda Sanitaria di Salerno -. Si tratta, tuttavia, di un fenomeno sovrastimato che va drasticamente ridimensionato. Infatti, oltre il 90% di chi è convinto di essere allergico alla penicillina, in cima alla lista delle allergie, in realtà non lo è e potrebbe tollerare il farmaco in sicurezza – sottolinea -. Infatti, nella maggior parte dei casi, il problema è in realtà inesistente perché generalmente le allergie sono autoriferite dai pazienti che credono di essere allergici per aver subito in passato reazioni avverse dopo aver assunto un antibiotico, come eruzioni cutanee, gonfiori, difficoltà respiratorie. Ma, il più delle volte, si tratta di manifestazioni legate a ricordi d’infanzia, mai accertate con test allergologici, o, comunque, risalenti ad almeno 5-10 anni prima. Così, i pazienti sono spesso “etichettati” come allergici dal medico curante o nelle cartelle cliniche, sulla base di una storia di reazione a un farmaco non verificata, vaga o datata che potrebbe anche essersi risolta nel corso del tempo», precisa.
Infatti, è importante tenere presente che anche le vere allergie non sempre sono di lunga durata e possono diminuire o scomparire negli anni. A conferma di ciò, uno studio che ha coinvolto 740 pazienti con una storia di allergia alla famiglia delle penicilline ha rilevato che il 93% di questi pazienti aveva un risultato positivo al test cutaneo se la reazione si era verificata nell’ultimo anno, mentre tale percentuale scendeva al 22% se i pazienti venivano valutati 10 o più anni dopo la reazione.
«Moltissimi studi dimostrano, poi, che spesso vengono scambiati per una risposta allergica alla penicillina, alcuni effetti collaterali comuni dell’antibiotico oppure i sintomi della malattia virale o batterica stessa. È quindi fondamentale distinguere le reazioni su base immuno-mediata rispetto a quelle legate a meccanismi non-immunologici – sottolinea Mario Di Gioacchino, presidente Siaaic -. Tutto ciò implica che il più delle volte questi pazienti presunti allergici potrebbero tollerare in sicurezza l’antibiotico, ma di fatto ciò non avviene perché l’allergia non è verificata con test diagnostici».
I rischi del ricorso improprio ad antibiotici di seconda linea
«L’errata “etichetta” di allergici agli antibiotici, da parte del medico curante o nelle cartelle cliniche, anche prima di interventi chirurgici, comporta notevoli problemi di tutela della salute sia individuale che pubblica. Negare impropriamente a una percentuale significativa di persone la possibilità di essere trattate con antibiotici di prima linea, determina il ricorso, in chi non ne ha reale bisogno, ad antibiotici di seconda scelta che non sempre hanno una efficacia paragonabile a quella delle penicilline, con esitipeggiorativi in termini di morbilità e mortalità, maggiori costi a carico del Sistema Sanitario Nazionale e più alto rischio di antibiotico-resistenza – dichiara Maria Teresa Costantino, Direttrice Uoc Allergologia Ospedale di Mantova e Responsabile del corso Siaaic dedicato alle reazioni ai farmaci -. Infatti, uno studio pubblicato sul Journal of Allergy and Clinical Immunology, che ha coinvolto 51.582 partecipanti, ha rivelato che i pazienti con allergia alla penicillina non verificata mostrano una degenza ospedaliera più lunga di quasi il 10% e una probabilità che va dal 14,1% al 30,1% di sviluppare infezioni antibioticoresistenti da Clostridium difficile, Staphylococcus aureus resistente alla meticillina».
I test per verificare la diagnosi: il ruolo cruciale dell’allergologo
Fondamentale è quindi verificare la reale presenza di un’allergia agli antibiotici, invitando sia gli operatori sanitari che gli stessi pazienti a rivolgersi allo specialista per accertare con test diagnostici l’effettiva esistenza dell’allergia. Tutto ciò allo scopo di ottenere un risultato indicato con il nome di“de-labelling”, inteso come il processo diagnostico che si pone l’obiettivo di togliere l’etichetta di “allergico” a chi non lo è.
«La diagnosi si basa su un test cutaneo. In pratica, un estratto dell’antibiotico sospetto viene posto sulla pelle del paziente e se reagisce l’allergia è confermata. Se l’esame è negativo non si può escludere l’allergia e viene effettuato un secondo test chiamato di provocazione in cui l’estratto antibiotico viene assorbito per via orale, in dosi progressive, sotto controllo ospedaliero – spiega Patella -. Nel caso in cui i test sono positivi e il paziente non può fare a meno dell’antibiotico al quale è allergico, è possibile un trattamento di desensibilizzazione che consiste nell’abituare gradualmente il corpo all’allergene, in modo che non lo rifiuti più, somministrando al paziente, nel corso della giornata, dosi via via crescenti di antibiotico. La desensibilizzazione è efficace, ma deve essere ripetuta prima di ogni ciclo di antibiotico. La consapevolezza che la maggior parte dei pazienti abbia una diagnosi errata alla penicillina, sottolinea il bisogno di diagnosi e il ruolo cruciale dell’allergologo nel riconoscere e affrontare i sospetti di allergie, partecipando attivamente alla rimozione dell’errata etichetta di allergico, al fine di garantire maggiore sicurezza per il paziente e migliori outcome clinici e di spesa sanitaria», conclude.