Sindromi mielodisplastiche, un algoritmo calcola chi è più a rischio di leucemia acuta: i maschi over 60

Ogni anno circa tremila persone over 70 in Italia sono colpite da una sindrome mielodisplastica, un tumore del sangue caratterizzato da anemia che può evolvere nel tempo in una malattia più grave, la leucemia mieloide acuta. Chi rischia di avere una forma più aggressiva? Quali terapie, più o meno «intense» iniziare e quando? La risposta arriva da un nuovo algoritmo di medicina personalizzata che calcola il rischio di progressione della malattia tenendo conto di sesso ed età del paziente, messo a punto da un gruppo di ricercatori guidati da Matteo Della Porta, responsabile dell'Unità Leucemie e mielodisplasie all’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Milano. Secondo i risultati di uno studio, coordinato da Humanitas all’interno del consorzio europeo GenoMed4All (finanziato dal programma Horizon 2020) e appena pubblicato sulla rivista Lancet Haematology , sesso ed età sono fattori fondamentali nella prognosi delle sindromi mielodisplastiche.
Cosa sono
«In particolare, l’essere maschi e ultrasessantenni sarebbe correlato a una maggiore gravità dei sintomi di anemia, una minore aspettativa di vita e alla necessità di trattamenti più precoci rispetto ai soggetti di sesso femminile con la stessa malattia» spiega Della Porta, professore di Humanitas University. Le sindromi mielodisplastiche (chiamate anche mielodisplasie) sono un eterogeneo gruppo di malattie del sangue causate dal danneggiamento delle cellule staminali del midollo osseo che non riescono a produrre una quantità adeguata di cellule del sangue funzionali. Questo porta a una carenza di globuli bianchi, globuli rossi e/o piastrine. In una percentuale dei casi, così, le sindromi mielodisplastiche si trasformano con il tempo in leucemia mieloide acuta. Sono poco note, ma in aumento e cresceranno ancora di più nei prossimi anni perché colpiscono prevalentemente gli anziani e in Italia l’invecchiamento generale della popolazione è un dato ormai assodato. Spesso, in fase iniziale non ci sono sintomi evidenti e la malattia viene quindi diagnosticata in ritardo, oppure casualmente grazie a esami del sangue fatti per altre ragioni. Ma, se scoperta per tempo, si può contrastare (le nuove terapie a disposizione sono molte) ed evitare che evolva in una leucemia.
Attenzione a questi sintomi
«I sintomi più rilevanti che si manifestano all’esordio della malattia sono l’anemia (presente in tutti i pazienti, e che causa di stanchezza, mancanza di resistenza fisica, tachicardia e crampi alle gambe), la piastrinopenia (che può causare emorragie) e la leucopenia (che può provocare infezioni ricorrenti) — chiarisce l'esperto —. Nelle fasi più avanzate la malattia incide sulla funzionalità di diversi organi (cuore e apparato circolatorio in primis, come conseguenza dell’anemia severa), generando ulteriori complicanze che riducono l’aspettativa di vita dei pazienti. Clinicamente sono patologie estremamente eterogenee: si va da pazienti che hanno la stessa aspettativa di vita della popolazione generale della stessa età, a casi che, invece, hanno una rapidissima evoluzione in leucemia acuta nel giro di pochi mesi». Per questo è molto importante comprendere chi ha una patologia più aggressiva, per poter impostare la terapia migliore, prolungare la sopravvivenza dei malati e migliorarne la qualità di vita.
Differenze fra maschi e femmine
La nuova ricerca, che ha raccolto e analizzato retrospettivamente grazie all’intelligenza artificiale e a un approccio di medicina di genere il più ampio numero di casi di mielodisplasie finora disponibile (oltre 13mila), dimostra che il comportamento biologico della malattia, e quindi la prognosi e il trattamento, non sono influenzati solo dagli aspetti clinici, ma anche dal sesso e dall’età del paziente. I risultati indicano che il sesso influenza l’espressione della malattia in tre aspetti: biologia, prognosi e trattamento. «Per quanto riguarda la biologia le mutazioni del DNA alla base della malattia sono diverse nei maschi e nelle femmine — illustra Della Porta, coordinatore scientifico dello studio realizzato anche grazie a AIRC e ai finanziamenti del Ministero della Salute —. Questa osservazione ha effetto pure sui sintomi e sull’evoluzione clinica, che dipendono dal tipo di alterazioni del DNA: sintomi come l’anemia sono più severi negli uomini proprio in ragione del tipo di mutazioni caratteristiche del sesso maschile. La prognosi è diversa, con aspettativa di vita significativamente inferiore per i maschi rispetto alle femmine. Anche le terapie dell’anemia vanno gestite diversamente, perché i maschi tendono ad avere conseguenze negative sulla qualità e aspettativa di vita con livelli più alti di emoglobina e globuli rossi. Questo è particolarmente evidente sul rischio di complicanze cardiovascolari, che sono molto più frequenti negli uomini e risentono più pesantemente della carenza di ossigeno conseguente all’anemia».
Il nuovo algoritmo
L’intelligenza artificiale (AI) è stata fondamentale per analizzare in profondità i dati e grazie alla collaborazione con i data scientist dell’Humanitas AI Center, i ricercatori hanno realizzato algoritmi in grado di implementare, sul singolo paziente, due modelli prognostici innovativi per le sindromi mielodisplastiche che includono età e sesso. Inserendo i dati del paziente in una piattaforma online, il medico può oggi ottenere una prognosi più accurata per ogni singolo paziente. La prognosi calcolata con il nuovo modello matematico viene comparata con i sistemi tradizionali (International Prognostic Scoring System-IPSS-R), che utilizzano solo parametri legati alla malattia. «La nostra speranza è che questi risultati scientifici, insieme alla realizzazione della piattaforma, possano aiutare i medici nelle decisioni che riguardano il paziente con sindrome mielodisplastica, permettendo di applicare sempre più facilmente approcci di medicina di genere e di precisione anche in ematologia» conclude Giulia Maggioni, specializzanda in Ematologia di Humanitas University e prima autrice dello studio su Lancet Haematology.