Linfoma di Hodgkin, con l’immunoterapia cala il rischio che la malattia progredisca

Per il linfoma di Hodgkin l’associazione di chemioterapia e radioterapia rappresenta ancora il trattamento standard con possibilità di guarigione molto elevate. Dal congresso annuale dell’American Society of Clinical Oncology (Asco), in corso a Chicago, arriva però una novità importante per quei malati, adolescenti e adulti, con un tumore in stadio avanzato: il farmaco immunoterapico nivolumab, in aggiunta alla chemioterapia, riduce in modo importante sai il rischio di progressione della malattia sia quello di morte del paziente (che cala del 52%). «È un passo avanti così importante da essere stato selezionato fra i quattro studi principali (su oltre 5mila) che vengono presentati nella sessione plenaria, quella dedicata agi studi di maggior rilievo, perché è potenzialmente in grado di cambiare la terapia standard di prima linea per i pazienti con linfoma di Hodgkin in stadio avanzato, molto frequente negli adolescenti e nei giovani adulti — commenta Paolo Corradini, presidente della Società Italiana di Ematologia (Sie) —. Grazie alla nuova terapia sottoposta a sperimentazione, sembra intravedersi la possibilità di ottenere la guarigione in più del 90% dei pazienti».
La terapia oggi
Che trattamento ricevono oggi i pazienti con una diagnosi di linfoma di Hodgkin? «Una combinazione di chemioterapia e radioterapia negli stadi iniziali (I e II), con numero di cicli di chemio e dosi di radio definiti in base ben precisi criteri e all’aggressività del tumore — spiega Francesco Passamonti, direttore dell’Ematologia alla Fondazione IRCCS Policlinico di Milano —. Mentre negli stadi avanzati la cura standard prevede la sola chemioterapia secondo il cosiddetto schema ABVD (A sta per adriamicina, un sinonimo con cui era inizialmente indicata la doxorubicina, bleomicina, vinblastina e dacarbazina) per sei cicli nei pazienti stadio III e l’associazione dell’anticorpo monoclonale Brentuximab Vedotin e della chemioterapia AVD (senza bleomicina) per sei cicli. Sono trattamenti già disponibili in Italia, in grado di indurre guarigioni e remissioni durature della malattia in oltre due terzi dei pazienti». Se poi questi trattamenti di prima linea falliscono, e la malattia si ripresenta, si procede con un trapianto di cellule staminali autologo. Un numero significativo di pazienti con linfoma di Hodgkin recidivato oppure refrattario (che cioè non risponde a tutte queste cure) ha però una ricaduta che, nella maggior parte dei casi, si verifica entro uno-tre anni dal trapianto. «Negli ultimi anni si sono resi disponibili diversi nuovi farmaci biologici intelligenti che riescono a guarire una proporzione consistente di pazienti, nei quali la malattia non è più controllata dai trattamenti tradizionali. Quali strategie scegliere, fra le molte disponibili, dipende dal sottotipo di tumore, dalle sue caratteristiche, dall'età del paziente e da molti altri parametri che vanno considerati caso per caso» sottolinea Corradini, direttore di Ematologia alla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori (Int) di Milano.
Cosa cambia con la nuova cura e come funziona
La nuova ricerca presentata al convegno americano ha coinvolto circa 970 pazienti (dai 12 anni in su) con linfoma Hodgkin avanzato (cioè stadio III e IV) non precedentemente trattati. «SWOG S1826 è uno studio di fase tre (l’ultimo prima dell’approvazione definitiva ed entrata in commercio di un farmaco) che confronta l’attuale terapia standard per questi malati (cioè brentuximab e lo schema di chemioterapia AVD) con la nuova cura (nivolumab e AVD) — chiarisce Passamonti —: i risultati indicano che con quest’ultima si riesce a migliorare ulteriormente la sopravvivenza libera da progressione di malattia, dall’84% al 94% a un anno dalla cura». Nivolumab è un farmaco immunoterapico già disponibile nel nostro Paese per diversi tipi di cancro e rimborsato anche per il linfoma di Hodgkin ad alto rischio di recidiva o progressione, in seguito a trapianto autologo di cellule staminali. La cura risulta ben tollerata perché gli eventi avversi sono stati principalmente di grado lieve e facilmente gestibili: «In particolare si è osservata una minima riduzione della funzionalità tiroidea, ben controllabile tramite l’assunzione di compresse di ormoni tiroidei (levotiroxina) e disturbi polmonari o infezioni respiratorie. Un fatto importante perché ci aspettiamo che questa cura diventerà in un prossimo futuro la terapia standard» aggiunge Corradini.
Un tumore che colpisce soprattutto i giovani
Sono circa 1.200 i nuovi casi di linfoma di Hodgkin diagnosticati ogni anno in Italia: sono tumori del sangue che interessano soprattutto i giovani (prima dei 45 anni, è più frequente nelle fasce d’età intorno ai 20 anni, ma può svilupparsi raramente anche oltre i 60) e circa il 90% dei pazienti è vivo e può essere considerato guarito a cinque anni dalla diagnosi. «I linfomi si dividono in due macro-gruppi: il linfoma di Hodkgin (dal nome del medico inglese Sir Thomas Hodgkin, che l’ha descritto per primo nella prima metà dell’800) e i linfomi non Hodkgin (tutti gli altri) — ricorda Passamonti —. Si tratta di un gruppo di malattie eterogenee, comprendenti vari sottotipi anche molto diversi fra loro, che possono avere un’evoluzione e un’aggressività differenti e che quindi richiedono trattamenti specifici a seconda della singola patologia. Oggi, grazie ai progressi della ricerca scientifica, le moderne terapie consentono in molti casi di ottenere la guarigione anche se la malattia si è diffusa ad altri organi. O quanto meno di mantenerla in remissione per molti anni».
Sintomi ed esami diagnostici
Quali sono i sintomi che devono insospettire? «Purtroppo è difficile giungere a una diagnosi precoce di un tumore del sangue perché i segnali iniziali sono sempre piuttosto vaghi e poco specifici e potrebbero essere spia anche di molte altre patologie — conclude Corradini —. È però importante parlare con un medico in presenza di: febbre o febbriciattola (in particolare pomeridiana o notturna) e un senso di debolezza che perdurano senza cause apparenti per più di due settimane; perdita di appetito e dimagrimento importante e ingiustificato; formazione di ematomi o lividi spontanei; gonfiore, spesso indolore, di un linfonodo superficiale del collo, ascellare o inguinale. Possono essere presenti anche una sudorazione eccessiva, soprattutto di notte, che obbliga a cambiare gli indumenti e un prurito persistente diffuso su tutto il corpo». In presenza di sintomi sospetti è bene andare dal medico di medicina generale che, dopo la visita, può prescrivere degli accertamenti (esami del sangue più o meno specifici a seconda dei sospetti) e, se lo ritiene opportuno, suggerire di consultare un ematologo per una più approfondita valutazione ed eventuale esecuzione di ulteriori indagini (come una biopsia del midollo osseo o di un linfonodo ingrossato).