Tiroide, il tumore «buono» che molti hanno senza saperlo. Sintomi, diagnosi, terapie: ecco quello che è utile conoscere

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08/05/2023

Quali i sintomi a cui prestare attenzione?

«Il sintomo più comune è un nodulo che si sente tra le dita se si tocca il collo o un rigonfiamento indolore, comunemente definito gozzo, che compare nel collo e che s’ingrossa sempre di più, in alcuni casi fino a comprimere l’esofago o la trachea, provocando così difficoltà a deglutire o respirare - dice Luciano Pezzullo, responsabile della Chirurgia della tiroide all’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Napoli -. Non tutti i noduli tiroidei nascondono però forme di cancro, anzi: spesso sono il segno della cosiddetta iperplasia tiroidea, ovvero una forma benigna di crescita ghiandolare. Si stima che meno del 5% dei noduli tiroidei nasconda effettivamente un tumore».

Quante persone colpisce e quali le speranze di guarire?

I casi sono in crescita, ma per gli esperti non è un problema. Diversi studi, infatti, hanno dimostrato che la maggioranza dei noduli, piccoli e asintomatici, tenuti sotto controllo per 5 anni si dimostra alla fine non pericolosa (tanto che si parla di diagnosi “superflue”): hanno ben poche probabilità di creare problemi di salute alle interessate e ancor minore è l’eventualità che ne casino il decesso. «Ogni anno in Italia si ammalano di carcinoma tiroideo circa 12.200 italiani (3.500 maschi e 8.700 femmine) - risponde Lisa Licitra, direttore dell’Oncologia Tumori Testa - Collo alla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano -. Secondo le più recenti statistiche, la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi supera il 90% , specialmente se la diagnosi e la cura avvengono in modo tempestivo». A essere maggiormente interessate sono le giovani donne (sotto i 40 anni) fra le quali questo tumore è il più frequente dopo quello del seno.

Cosa si può fare per prevenirlo?

«La patologia tiroidea nodulare, molto frequente nella popolazione, è in gran parte favorita dalla carenza iodica - spiega Gioacchino Giugliano, direttore dell’Unità Neoplasie Tiroidee dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano -. Quindi un’adeguata iodoprofilassi, che si può attuare molto semplicemente usando in cucina il sale arricchito con iodio (si trova comunemente nei supermercati), previene nella maggior parte dei soggetti questa malattia».

Quali esami servono per la diagnosi?

Una volta individuato un nodulo, in genere il medico prescrive una serie di esami per misurare gli ormoni tiroidei nel sangue. «Per stabilire se nel sangue le quantità di ormoni tiroidei sono normali o alterate occorre dosare la triiodotironina (T3), la tiroxina (T4) e l’ormone tireostimolante TSH - chiarisce Giugliano -: quest’ultimo è prodotto da un’altra ghiandola endocrina, l’ipofisi, situata alla base del cervello, che ha il compito di controllare a sua volta l’attività della tiroide. Quando gli ormoni tiroidei aumentano nel sangue, l’ipofisi produce meno TSH, se invece diminuiscono, ne produce quantità maggiori per stimolare la tiroide a lavorare di più. Per approfondire ulteriormente l’indagine, lo specialista può richiedere un’ecografia, che consente di visualizzare noduli anche molto piccoli, di misurarli con precisione e stabilirne il carattere. Per esempio, se sono solidi o cistici (questi ultimi, contenenti liquido, sono quasi sempre benigni) oppure con l‘elastografia valutare se sono più o meno elastici (quelli che lo sono maggiormente, risultano più facilmente benigni, gli altri invece più spesso sono associati alla malignità). Un aspetto positivo dell’ecografia è che può essere ripetuta più volte allo scopo di monitorare periodicamente i noduli e tenerne sotto controllo un’eventuale evoluzione in quanto non comporta alcun effetto collaterale. La scintigrafia invece consente di distinguere i noduli “caldi” (funzionanti autonomamente, in genere benigni anche se con rischio di ipertiroidismo) da quelli “freddi” (meno attivi rispetto al resto della ghiandola, ma con una probabilità, seppure piccola, di nascondere un tumore). L’esame più appropriato per verificare la presenza di un tumore, infine, è l’agoaspirato: con un ago sottile e sotto la guida ecografica, si aspirano alcune cellule del nodulo e si analizzano al microscopio».

Chi è più a rischio di ammalarsi?

«Fra i fattori di rischio accertati c'è il cosiddetto gozzo, caratterizzato da numerosi noduli benigni della ghiandola dovuti a carenza di iodio che può in alcuni casi predisporre alla trasformazione maligna delle cellule - dice Luciano Pezzullo -. Esiste poi un certo grado di familiarità, sia per le alterazioni funzionali della ghiandola sia per la patologia nodulare, ma la rilevanza clinica di questa incidenza è scarsa. Un altro fattore di rischio accertato è l’esposizione a radiazioni: il tumore della tiroide è più comune in persone che sono state trattate per altre forme tumorali con radioterapia oppure che sono state esposte a ricadute di materiale radioattivo (come è avvenuto ad esempio a dopo il disastro della centrale nucleare di Chernobyl). In età adulta vanno quindi sottoposti a controlli i soggetti che da giovani hanno subito, per vari motivi, un trattamento radiante».

Quando si può non curare?

Nella maggior parte dei casi i tumori della tiroide crescono molto lentamente e si riconoscono incidentalmente nel corso dell’esecuzione di esami radiografici o ecografici del collo eseguiti per altri problemi. «Nella maggior parte dei casi, la patologia nodulare tiroidea benigna non richiede alcun trattamento invasivo: è sufficiente un controllo medico periodico, consistente in un semplice prelievo di sangue e di un’ecografia del collo» chiarisce Pezzullo.

Come si cura: quando può bastare solo la chirurgia?

«Quando il nodulo, ancorché benigno, raggiunge dimensioni cospicue (diciamo uguali o superiori ai 3 cm) ed è causa di sintomatologia locale al collo (ovvero crea problemi a deglutire o respirare) può essere indicata la chirurgia - spiega Gioacchino Giuliano -. La tiroidectomia (l’asportazione della ghiandola) è sicura, efficace e minimamente invasiva e in caso di noduli con caratteri di malignità il trattamento indicato è sicuramente la chirurgia, che in questi anni è molto evoluta ed è sempre più personalizzata, una sorta di chirurgia “sartoriale”, cucita su misura per il singolo paziente, basandosi sui fattori di rischio clinico e genetico. Le linee guida propongono per alcuni tipi di neoplasia la chirurgia conservativa (ovvero l’emitiroidectomia, asportazione solo di metà tiroide) o anche per tumori di piccole dimensioni (inferiori a 1 cm) la cosiddetta “sorveglianza attiva” (solo controlli)».

Come si cura: quando serve la radioiodioterapia?

«Anche sul fronte delle cosiddetta terapia metabolica ci sono importanti novità - prosegue Pezzullo -. In passato, quasi tutti i pazienti con diagnosi di carcinoma differenziato della tiroide erano sottoposti alla terapia con radioiodio, con le conseguenze e gli effetti indesiderati di questo trattamento. Oggi, è candidata alla terapia con radioiodio solo una bassa percentuale di pazienti con malattia localmente avanzata o metastatica».

Perché bisogna prendere una cura per tutta la vita?

La tiroide secerne ormoni indispensabili per il regolare svolgimento di molte funzioni del nostro organismo. «Se è rimossa chirurgicamente, la produzione degli ormoni tiroidei cessa - spiega Licitra -. Per tale motivo, solo ai pazienti che hanno avuto l’asportazione di tutta o di una parte della ghiandola, si prescrive una terapia di sostituzione degli ormoni tiroidei: normalmente è sufficiente assumere un preparato contenente l’ormone tiroxina (T4, in compressa o in formulazione liquida) una volta al giorno, possibilmente la mattina a digiuno, 20-30 minuti prima di colazione o dell’assunzione di altri farmaci, onde evitare che questi interferiscano con l’assorbimento della cura. Il dosaggio della tiroxina varia da paziente a paziente e viene stabilito sulla base del risultato di un semplice esame del sangue».

Quando si può morirne? Ci sono nuove terapie?

«La grande maggioranza dei tumori tiroidei (per lo più carcinomi papillari) ha andamento lento e indolente - conclude Lisa Licitra -. Il carcinoma follicolare è meno diffuso, più tipico degli anziani, appare un po’ piu’ aggressivo, si diffonde più spesso alle ossa, pur mantenendo una crescita lenta e una prognosi comunque relativamente favorevole. Una forma particolarmente aggressiva, ma per fortuna rara (meno dell'1% dei carcinomi tiroidei), è il carcinoma anaplastico che dà precocemente metastasi a distanza. Negli ultimi anni la ricerca clinica ha però messo a punto e ha reso disponibili (sia per le tipologie più frequenti che per quelle più rare) nuovi farmaci in grado di controllare la crescita della malattia, ridurne le dimensioni e allungare ila sopravvivenza dei malati».

 

Fonte: https://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/cards/tiroide-tumore-buono-che-molti-hanno-senza-saperlo-sintomi-diagnosi-terapie-ecco-quello-che-utile-conoscere/quali-sintomi-cui-prestare-attenzione_last.shtml