Come capire se e quando una mielodisplasia evolverà in leucemia acuta? La risposta da un nuovo test genetico

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28/04/2023

Sono circa tremila gli italiani, perlopiù ultrasettantenni, che ogni anno scoprono di avere una sindrome mielodisplastica, chiamata anche mielodisplasia. Un nome che raggruppa però un eterogeneo gruppo di rare patologie del sangue, molto diverse da paziente a paziente, che vanno da condizioni «indolenti», cioè a lenta progressione che non fanno differenza sull'aspettativa di vita del diretto interessato, a casi che progrediscono rapidamente verso una leucemia mieloide acuta. Come distinguere gli uni dagli altri? Quale possibilità c’è che un paziente con sindrome mielodisplastica vada incontro a una leucemia? Una risposta, fondamentale anche per stabilire le cure necessarie, arriva da uno studio appena pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Clinical Oncology , che ha messo a punto un nuovo strumento per migliorare sensibilmente la capacità di predire il rischio di evoluzione leucemica sulla base del profilo genetico del singolo malato.

 

Vari parametri da misurare per scegliere le cure

«Le sindromi mielodisplastiche sono malattie del sangue causate dal danneggiamento delle cellule staminali del midollo osseo — spiega Matteo Della Porta, responsabile dell'Unità Leucemie e mielodisplasie all’IRCCS Humanitas di Milano e coordinatore dello studio —. Le cellule staminali danneggiate non riescono a produrre una quantità adeguata di cellule del sangue funzionali e questo porta a una carenza di globuli bianchi, globuli rossi e/o piastrine. Spesso in fase iniziale non ci sono sintomi evidenti e la malattia viene quindi diagnosticata in ritardo, oppure casualmente grazie a esami del sangue fatti per altre ragioni. Ma se scoperta per tempo si può contrastare (le nuove terapie a disposizione sono molte) ed evitare che evolva in una leucemia». Le complicazioni più rilevanti, soprattutto nelle fasi iniziali di malattia, sono l'anemia, la piastrinopenia e le infezioni ricorrenti. Fino a pochi anni fa il trattamento dei pazienti era basato quasi esclusivamente sulla terapia di supporto che mirava a mitigare i sintomi, soprattutto legati all’anemia (presente in quasi tutti i pazienti), mentre oggi sono arrivate terapie sempre più efficaci e che migliorano in modo importante la vita dei pazienti. I farmaci da somministrare sono differenti e vengono prescritti in base a determinati criteri che prendono in considerazione il sottotipo specifico di sindrome di cui soffre la persona, come evolve, le reazioni e la qualità di vita del paziente.

 

Lo studio per valutare il percorso terapeutico ottimale di ogni paziente

Di norma gli ematologi decidono le strategie di trattamento da proporre ai pazienti in base a un «punteggio clinico» (IPSS-R), ottenuto in base a indicatori come il numero delle cellule leucemiche nel midollo osseo, i livelli di globuli bianchi, rossi e piastrine nel sangue (citopenie) e le anomalie nei cromosomi delle cellule emopoietiche (anomalie citogenetiche). Anche per la decisione di eseguire un trapianto di cellule staminali ematopoietiche (l'unica cura definitiva, in grado di portare a guarigione, ma spesso troppo pesante da tollerare per le persone anziane) è normalmente presa considerando i parametri di questo score, che non contiene però informazioni sul profilo genomico della sindrome. «Si tratta di un aspetto sempre più importante per valutare l’impatto della malattia sulla qualità e aspettativa di vita di ciascun paziente — continua Della Porta —. Così è nato lo studio che ha portato a mettere a punto il “punteggio molecolare” (IPSS-M) che ha dimostrato, su 2.876 pazienti con sindromi mielodisplastiche, di migliorare significativamente la capacità di predire il rischio di evoluzione leucemica e l’aspettativa di vita.Utilizza i dati molecolari della malattia rilevati in ogni paziente con un test su 31 geni ed è utile soprattutto nella valutazione del percorso terapeutico ottimale di ogni paziente. Infatti la possibilità di individuare sulla base del profilo molecolare le persone a più alto rischio di progressione di malattia consente di ottimizzare la scelta dei trattamenti e del momento più opportuno in cui intervenire, oltre a individuare in modo sempre più efficace i pazienti candidabili al trapianto di cellule staminali ematopoietiche e quando».

 

Nuove tecnologie per una vasta mole di dati

Lo studio coordinato da Matteo Della Porta è stato condotto in collaborazione con Gastone Castellani dell’Università degli Studi di Bologna, all’interno del consorzio europeo GenoMed4All, con il sostegno di EuroBloodNET, la Rete europea di riferimento per le malattie ematologiche rare, e di Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro. I test molecolari non sono ancora di routine nel mondo, a causa dei costi e delle infrastrutture richieste. «Lo sviluppo e l’applicazione di metodi innovativi con cui analizzare e integrare grandi moli di dati clinici e genomici hanno permesso di abbreviare i tempi con cui i risultati delle ricerche possono essere tradotte in un beneficio pratico per i pazienti — conclude Elisabetta Sauta, data scientist di Humanitas AI Center —. Le tecnologie utilizzate aiutano infatti a definire e migliorare modelli di previsione utili alla diagnosi e a decisioni terapeutiche sempre più mirate, tenendo conto della variabilità individuale dei pazienti. È importante sottolineare che questi risultati sono stati raggiunti anche grazie alla collaborazione multidisciplinare tra clinici, ricercatori, data scientists e altri partner europei: una collaborazione che ha permesso di rispondere alle specifiche esigenze cliniche di malattie così eterogenee».

Fonte: https://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/23_aprile_28/mielodisplasia-leucemia-acuta-45569704-e03f-11ed-befe-3bdd2507135b.shtml?refresh_ce