Le conseguenze delle commozioni cerebrali a distanza di tempo

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03/03/2023

Da molti anni si discute negli Stati Uniti sul fatto che le ripetute commozioni cerebrali (colpi o scuotimenti violenti che possono momentaneamente alterare le strutture nervose che controllano le funzioni cerebrali) subite dai giocatori di football americano nel corso della loro carriera professionistica possano provocare gravi problemi al cervello. In particolare possono causare l’encefalopatia traumatica cronica (CTE), una sindrome causata da una serie di commozioni cerebrali che può portare a un deficit di attenzione, demenza, disorientamento, perdita di memoria, depressione, difficoltà nel linguaggio, alterazione della personalità. La Lega Football Usa solo nel 2016 ha ammesso il nesso tra trauma cranico e danni al cervello. Un film denuncia,«Zona d’ombra» con Will Smith, ha raccontato la storia vera del neuropatologo Bennet Omalu, che cercò in ogni modo di portare all’attenzione pubblica la CTE.

Ora un nuovo studio appena pubblicato su Archives of Clinical Neuropsychology ha evidenziato che i giocatori della NFL (National Football Legue. la più grande lega professionistica al mondo di football americano) che hanno manifestato sintomi di commozione cerebrale in carriera hanno mostrato prestazioni cognitive ridotte rispetto alla popolazione generale decenni dopo il loro ritiro.

Il lavoro si unisce a un’altra ricerca pubblicata pochi giorni fa sul Journal of Neurotrauma che ha concluso come sperimentare anche solo tre o più commozioni cerebrali, anche lievi, può portare a problemi cognitivi decenni dopo. E una sola commozione cerebrale da moderata a grave (subita in incidenti automobilistici, lesioni da contatto, traumi sportivi) ha avuto un impatto a lungo termine sulla funzione cerebrale, inclusi problemi di memoria. Questo lavoro non ha coinvolto giocatori di football americano ma popolazione generale (oltre 15 mila) tra i 50 e i 90 anni. La ricercatrice che ha condotto il lavoro, Vanessa Raymont dell’Università di Oxford ha spiegato in un comunicato stampa: «Più volte fai male al tuo cervello nel corso della vita, peggiore potrebbero essere le tue funzioni cerebrali con l’avanzare dell’età»

Il confronto tra ex giocatori e non giocatori

Degli oltre 350 ex giocatori della National Football League (NFL) che sono stati studiati nel primo lavoro citato per una media di 29 anni dopo la fine della loro carriera, quelli che hanno riferito di aver avuto sintomi di commozione cerebrale hanno ottenuto punteggi peggiori nelle valutazioni della memoria episodica, nella durata dell’attenzione, nella velocità di elaborazione e nel vocabolario. L’analisi di follow up ha confrontato gli ex giocatori con oltre 5.000 volontari maschi nella popolazione generale che non giocavano a football in modo professionistico. È emerso che le prestazioni cognitive risultavano peggiori per gli ex giocatori rispetto ai non giocatori. Mentre gli ex giocatori più giovani hanno superato i non giocatori in alcuni test, i giocatori più anziani ormai in pensione hanno ottenuto risultati peggiori nei compiti cognitivi rispetto al gruppo di controllo. I deficit cognitivi più comuni sono problemi di attenzione, capacità di portare a termine compiti complessi , organizzare pensieri e attività in modo efficiente.
Secondo i ricercatori questi risultati aggiungono ulteriori prove dell’impatto che una carriera calcistica professionistica può avere sull’accelerazione dell’invecchiamento cognitivo.

Le conseguenze a lungo termine

«È risaputo che nelle ore e nei giorni successivi a una commozione cerebrale le persone sperimentano un certo deterioramento cognitivo e le funzioni cerebrali risultano compromesse in modo temporaneo. Tuttavia l’impatto a lungo termine ha finora portato a risultati contrastanti - afferma Laura Germine, autrice senior dello studio, professoressa di psichiatria Harvard School of Medicine - ma i risultati di questa indagine, la più grande nel suo genere, mostra che i giocatori di football americano professionistico possono andare incontro a difficoltà cognitive associate alle lesioni alla testa subite in carriera anche molti anni dopo il ritiro dall’attività professionistica».

I test

I 353 ex atleti della NFL hanno completato test neuropsicologici della durata di un’ora attraverso una piattaforma online da remoto e hanno completato test sulla valutazione di velocità di elaborazione, memoria viso-spaziale, memoria e utilizzo del vocabolario. A loro è stato domandato se avessero sperimentato alcuni di questi sintomi dopo un colpo alla testa in partita o in allenamento: mal di testa, nausea, vertigini, perdita di coscienza, problemi di memoria, disorientamento, confusione, convulsioni , problemi visivi o sensazione di instabilità stando in piedi. Inoltre è stato chiesto se un medico avesse mai diagnosticato loro una commozione cerebrale.

Le scarse prestazioni cognitive non sempre erano associate a commozioni cerebrali diagnosticate ma per i ricercatori molte ferite alla testa non sarebbero state correttamente diagnosticate (magari limitate al meno grave trauma cranico) ai tempi per una mancanza di conoscenze e consapevolezza, con una sottostima dei sintomi da parte dei giocatori. Confrontando le performance dei giocatori in pensione con il gruppo di controllo composto da 5.086 uomini si è visto che le prestazioni cognitive in genere erano peggiori tra gli ex giocatori, in particolare quelli più anziani. Secondo i ricercatori questi dati suggeriscono che giocare a football americano potrebbe accelerare il declino cognitivo legato all’età e portare a maggiori problemi in età avanzata. Un’altra chiave di lettura proposta è che gli ex giocatori più giovani sarebbero stati “risparmiati” rispetto ai più anziani per una maggiore consapevolezza e gestione degli infortuni. Sono comunque necessarie ulteriori indagini per misurare le prestazioni cognitive di atleti e non atleti nel corso della vita: il limite del lavoro è infatti la mancanza di dati sulla cognizione prima delle lesioni alla testa.

 

Fonte: https://www.corriere.it/salute/neuroscienze/23_marzo_03/conseguenze-commozioni-cerebrali-distanza-tempo-3c62d3be-b82c-11ed-8bae-9fdc85b635ee.shtml