Con Omicron fare il vaccino è inutile?

Image
29/12/2021

Uno degli elementi che ha fatto immediatamente scattare l’allarme internazionale dopo l’isolamento della variante Omicron in Sudafrica è stato il riscontro di mutazioni tipiche di una variante precedente, Beta, resistente all’attacco degli anticorpi, sia che questi siano prodotti in risposta a un’infezione pregressa o alla vaccinazione [1]. L’epidemiologia della diffusione di Omicron nella provincia di Gauteng ha confermato questa proprietà detta di “immunoevasione”: l’infezione ha colpito spesso infatti anche persone appena guarite dalla grande ondata che aveva colpito il Paese nei mesi scorsi, quando nell’emisfero sud era pieno inverno. Più difficile trarre subito conclusioni sul campo relative alla capacità protettiva della vaccinazione, dal momento che a fine novembre, quando la variante è stata isolata, solo una minoranza della popolazione sudafricana aveva ricevuto anche solo una dose [2,3,4].

Sono stati quindi subito effettuati esperimenti per verificare se la parte liquida del sangue di persone vaccinate o guarite contenente gli anticorpi (cioè, il loro siero) reagiva a contatto con il virus o con particelle create in laboratorio per simularne l’aspetto (pseudovirus). I risultati hanno tutti confermato il sospetto iniziale.

Ormai molti ricercatori in tutto il mondo sono giunti in maniera indipendente alle stesse conclusioni: il ciclo iniziale con due dosi conferisce una risposta anticorpale molto ridotta nei confronti di Omicron rispetto a quello che accadeva con le varianti precedenti [5,6,7,8]. Il numero di casi tra persone vaccinate nei Paesi in cui la variante ha già preso il sopravvento conferma che lo scudo, che già aveva cominciato a perdere un po’ di efficacia contro la variante Delta, sembra poter essere ancora più “bucato” da Omicron [9].

Dottore, ma allora ci siamo vaccinati per niente?

Questi risultati non tolgono valore alla vaccinazione che abbiamo ricevuto nei mesi scorsi, prima di tutto perché si stima che questa abbia consentito da sola di salvare in meno di un anno quasi mezzo milione di vite tra gli ultrasessantenni di 33 Paesi dell’area europea, di cui da 22.000 a 35.000 in Italia [10,11]. A questo dato vanno aggiunti i giorni di ricovero risparmiati, quelli di lavoro non persi, le conseguenze pratiche, economiche e sociali dell’infezione, oltre che, ovviamente, alle possibili conseguenze croniche in termini di salute, col cosiddetto “long Covid”.

Ma oggi che c’è Omicron? Non abbiamo ancora dati definitivi, ma è difficile credere che il nostro sistema immunitario non tragga assolutamente alcun vantaggio dall’aver conosciuto già il virus, seppure con fattezze un po’ diverse. È possibile che le persone vaccinate (o guarite) si infettino come le altre, data l’alta capacità di Omicron di passare tra gli individui, ma ci si aspetta che possano montare in tempi molto più rapidi una nuova risposta di tipo anticorpale e cellulare rispetto a chi incontra SARS-CoV-2 per la prima volta come Omicron.

Se quindi anche la possibilità di infettarsi fosse simile a quella dei non vaccinati, la capacità dei vaccini di proteggere dalla malattia, soprattutto nella sua forma grave, dovrebbe essere conservata. Non dimentichiamo che, tra l’altro, è proprio sulla base di questo criterio e a questo scopo che gli attuali vaccini sono stati autorizzati: si poteva anche sperare di interrompere o ridurre la trasmissione del virus, ma era soprattutto dalle conseguenze più serie sulla salute e dal sovraccarico dei servizi sanitari che ci si doveva primariamente difendere quando i primi vaccini sono stati messi a punto e autorizzati dalle agenzie.

Dottore, ma allora la pandemia non finirà quando saremo tutti vaccinati?

La recente comparsa della variante Omicron e la sua rapidissima diffusione in tutta Europa hanno fatto vacillare non solo alcuni sistemi sanitari, ma anche alcuni dei pilastri su cui si era basata gran parte della comunicazione istituzionale e mediatica di molti Paesi, oltre che alcuni provvedimenti di sanità pubblica focalizzati sulla distinzione tra vaccinati e non vaccinati, tipicamente il cosiddetto “Green pass” in tutte le sue forme. Parlare di “pandemia dei non vaccinati” e focalizzare tutta l’attenzione su chi ancora rifiuta questo presidio salvavita, passando il messaggio che la vaccinazione sia prima di tutto un gesto di solidarietà, che protegge gli altri prima ancora che per sé, ha alimentato la polarizzazione, lo stigma nei confronti dei cosiddetti “antivax” e un senso di falsa sicurezza nelle persone vaccinate che si sono illuse fosse ormai tutto finito. La doccia fredda degli ultimi mesi non poteva quindi essere accolta troppo bene.

Prima è arrivata la consapevolezza che la concentrazione di anticorpi nel sangue andava calando dopo pochi mesi dalla seconda dose. A questo calo di protezione evidenziato inizialmente in Israele e nel Regno Unito, i due Paesi che erano partiti prima degli altri con una campagna vaccinale a tappeto, si è sommato l’effetto della variante delta, più contagiosa della alfa e ancor più di quella iniziale, su cui erano stati messi a punto i vaccini. Si sono quindi cominciate a vedere le cosiddette “breakthrough infections”, cioè le infezioni di persone vaccinate, che pur essendo nella quasi totalità legate a una sintomatologia lieve o del tutto asintomatiche, incrinavano tuttavia la narrazione dei vaccini come barriera impermeabile all’infezione.

È sempre sgradevole dire: “Lo avevamo detto”, ma stando aderenti ai dati scientifici e riconoscendo l’incertezza intrinseca all’evoluzione della pandemia, Dottore ma è vero che? ha sempre evitato affermazioni perentorie sulla possibilità che una persona vaccinata potesse infettarsi e contagiare altri, da prima – ad esempio con la scheda “Se mi sono vaccinato posso prendere Covid-19?” – ma soprattutto dopo che la comparsa delle varianti nella primavera 2021 aveva mostrato la capacità del virus di evadere l’immunità acquisita con la guarigione e con la vaccinazione – si può approfondire l’argomento con la scheda “I vaccini anti Covid-19 proteggono dalle varianti?”.

Più lasceremo circolare il virus, nei Paesi dove il tasso di vaccinazione è più basso – ma anche da noi, ora che la vaccinazione non riesce più da sola a fermarne la corsa – più è probabile che si selezionino altre varianti più efficienti nello sfuggire al nostro tentativo di bloccarle.

Non mancano tuttavia le ragioni di speranza. I laboratori di tutto il mondo sono infatti pronti non solo a cambiare il bersaglio dei vaccini esistenti per prendere meglio di mira Omicron, ma soprattutto sono impegnati a trovare un nuovo vaccino capace di opporsi non solo alle varianti di SARS-CoV-2 presenti e future, ma possibilmente anche ad altri coronavirus che potrebbero di nuovo emergere dal mondo animale [12,13].

Dottore, perché dovremmo fare la terza dose di un vaccino che non è rivolto contro Omicron?

La comparsa della variante Omicron, che ha sparigliato a livello globale le carte della gestione della pandemia, ci trova già esausti, insofferenti, demoralizzati. I governi faticano a trovare le risorse economiche, oltre che il consenso, necessari per stabilire nuove chiusure, ma la prospettiva di un ulteriore grave colpo alla sostenibilità dei servizi sanitari è altrettanto preoccupante.

Accanto alle misure non farmacologiche che è necessario recuperare anche tra vaccinati (dalle mascherine al chiuso alla ventilazione degli ambienti, dal distanziamento alla riduzione del numero dei contatti, senza mai dimenticare un’accurata igiene delle mani), i vaccini possono ancora darci una grande mano a ridurre i danni della nuova ondata.

Accanto a quelli deludenti, infatti, dagli esperimenti di neutralizzazione dei virus in vitro di cui parlavamo sopra vengono anche risultati confortanti. Quando i ricercatori hanno messo alla prova il siero di persone che oltre alle prime dosi di vaccino avevano ricevuto anche un richiamo con vaccino a mRNA, è stato infatti osservato un aumento significativo della capacità dei loro anticorpi di bloccare il virus o lo pseudovirus utilizzato. Altri studi dimostrano che, sebbene non sempre questa reazione sia sufficiente a bloccare completamente il contagio, questo in genere produce forme asintomatiche o molto lievi [14,15,16,17,18,19].

L’effetto del richiamo non sembra solo quantitativo, ma anche qualitativo: non solo aumenta il dosaggio di anticorpi, ma spinge il sistema immunitario a produrne in maggiore varietà, con una maggiore probabilità quindi di intercettare bersagli utili sul virus mutato [20].

Ricevere la terza dose di vaccino è quindi oggi tutt’altro che inutile, ma è anzi il modo migliore che abbiamo per aiutare le nostre difese a opporsi a Omicron, e forse anche a eventuali altre varianti che dovessero arrivare nei prossimi mesi.

Fonte: https://dottoremaeveroche.it/con-omicron-fare-il-vaccino-e-inutile/